Jesmin Ward: “Salvare le ossa” nella Fossa, in quel Mississippi che aspetta l’uragano

40Salvare_le_OssaBenemerite le cosidette piccole case editrici che, in assenza di promozioni milionarie, di riservati spazi nei megastore più modaioli, proseguono nella loro incessante e necessaria ricerca incuranti di quegli autori che continuano imperterriti a “trombonare” da più di mezzo secolo e non mostrano alcuna intenzione di mollare l’osso: ecco quindi ancora per esempio NNE col suo “Salvare le ossa” (Traduzione di Monica Pareschi, pagg.315 euro 19) di Jesmin Ward.
L’autrice con quest’opera ha ottenuto il prestigioso National Book Award nel 2011, vive in Mississippi dove insegna scrittura creativa alla Tulane University, ha al suo attivo altre opere che si promette verranno pubblicate da noi. Siamo a Bois Sauvage in Mississippi località di periferia di una città più grande nei pressi di una sorta di favela denominata “La Fossa” in cui vivono in condizioni degradate famiglie quasi sempre di colore, in una natura lussureggiante con la minaccia dell’arrivo di un uragano secondo un rituale che in quelle zone è purtroppo frequente.
Al centro della vicenda una famiglia numerosa che nella previsione dell’uragano (ricorda tristemente Katrina) deve fare i conti anche con le vicende dei singoli: sono privi della madre – morta nel dare alla luce il figlio più piccolo – con un padre che, acciaccato ed impaurito dall’evento, cerca di tenere insieme il gruppo per salvaguardarne la sopravvivenza; un figlio maschio, Skeetah, che vive in simbiosi con un cane pittbull di nome China, che sta per partorire e sogna di arricchirsi coi cuccioli futuri; e sopratutto Esch, una ragazzina che si è data a molti uomini ed ama in segreto il ragazzo futuro padre che nega la paternità.
L’emergenza non va sottovalutata ma le vicende del quotidiano incombono comunque coi gruppi dei più giovani che sembrano non capire la possibile tragicità degli eventi. Attraverso dialoghi scarni, essenziali, le dinamiche si concentrano e sciolgono in una sorta di ritualità che a qualcuno, credo giustamente, ha fatto ricordare la tragedia greca.
Tragedia che del resto puntualmente si verifica quando con inaudita violenza l’uragano si abbatte sulla “fossa” spazzando letteralmente via, case baracche, esseri umani, animali e cose. Nel crescendo dell’apocalisse si delineano con chiarezza le caratteristiche di tutti; nel maturare delle tragedie inevitabili si inseriscono decisamente le dinamiche dei sentimenti più veri e, talvolta, inaspettati, si presentano nell’urgenza del momento aspetti dinamici del cambiamento.
L’attenzione della scrittrice non trascura niente, con un linguaggio ricco eppure essenziale, muove nei centri, letteralmente, dei vortici naturali e non solo per inchiodare l’attenzione del lettore verso punti di attenzione inequivocabili. La vita attraverso una delle sue rappresentazioni più alte. La maternità (per esempio sia della ragazza che del cane) viene affrontata in maniera quasi mitologica in una ambientazione che le sia pari che è inserita in un realismo crudo al limite del sostenibile.
A questo punto non è tanto “il come va a finire” (del resto perfettamente in linea e soddisfacente sia sotto il profilo dello stile che per il portato filosofico-esistenziale) ma la coerenza con la quale a lettura terminata si può apprezzare con una parola terribile, mi rendo conto, la “quadra” del tutto.
Si esce da questo romanzo quasi stremati dalla concatenazione inesausta di situazioni vertiginose per approdare alla pace della consapevolezza di avere “ascoltato” una storia ineccepibile e perfetta sulla storia dell’uomo.

Ariodante Roberto Petacco